26 luglio 2010

KUCH KUCH HOTA HAI - QUALCOSA E' SUCCESSO

Ottobre 2006

Ore 20.00 in via Palmieri a Milano. Sono davanti al portone della mia amica Chiara Cenko.
Piove.
Stasera mi ha convinto, non so come, a venire a casa sua per vedere un film indiano, in Hindi (!) sottotitolato in inglese (!!). Per peggiorare la situazione ci sarà anche LuceSole, magra come un chiodo (accidenti a lei), sempre luminosa e sorridente come se non le fosse mai capitato nella vita di pestare una cacca con dei sandali di camoscio nuovi.
Io sono Anna. Anna Guerra. Ho capelli lunghi biondi ed una quarta di reggiseno. Avete presente quei bellissimi, microscopici reggiseno a balconcino, di coloratissimo ed impalpabile pizzo? Per me sono un sogno proibito. Io mi posso permettere solo quelli rinforzati.
Tonalità? Nero, bianco e carne.
Spesso per strada le persone si girano a guardarmi, io invece vorrei essere trasparente.
La gente non mi piace, in metropolitana ti si appiccica addosso anche se il vagone è vuoto. Nessun rispetto per gli spazi altrui, figuriamoci per le altrui idee.

Eccomi nell’appartamento di Cenko. Sono qui perché lei me lo ha chiesto. E perché amo il Cinema.
Tra i miei ricordi più belli di bambina c’è quello delle domeniche pomeriggio passate nella sala dell’oratorio del mio quartiere a guardare film. Io e la mia amichetta del cuore raggiungevamo a piedi il cinema e compravamo un sacchetto di caramelle rosse e gialle, al gusto di fragola e banana, e una coca cola.
Mia madre, nell’Era in cui i cellulari non esistevano, mi aspettava a casa, l’ansia che aumentava al crescere dell’attesa.
Io, sulla strada del ritorno, perdevo la cognizione del tempo, mi attardavo, perché chiacchierare del film appena visto era bello quasi quanto essere al cinema.
Persino oggi che sono adulta e ho letto illuminanti quanto inquietanti libri sulla globalizzazione e la politica delle multinazionali, per me il sapore della coca cola è quello dell’evasione, dell’indipendenza e della libertà.

Buio, sono accoccolata sul letto di Cenko, parte una musichetta e sullo schermo compare una scritta azzurra, al neon: il titolo del film.
Prima inquadratura: un uomo (il fratello indiano di Toto Cutugno?) è in piedi davanti ad una pira. La moglie di Cutugno è morta dando alla luce una bimba.
Mentre le immagini scorrono, Cenko è all’estremità del letto, sulla punta, seduta così compostamente da non sembrare neanche completamente appoggiata. Di tanto in tanto interviene con un commento, con un’informazione su un attore, per sottolineare un particolare, anticipare una scena o una battuta.
Ridiamo ma non è una serata normale questa. Qualcosa sta succedendo.

Gran parte del primo tempo è un lungo flashback che svela la storia dell’uomo di fronte alla pira. Rahul, ragazzo sfrontato, allegro e un po’ spaccone, frequenta il college. La sua più grande amica è Anjali. I due hanno un rapporto giocoso, fatto di reciproche prese in giro, scherzi, piccoli litigi e riconciliazioni.
Durante una sfida di pallacanestro, uno contro uno, Rahul, esasperato perché non riesce a battere Anjali, le fa uno sgambetto e va a canestro. Siamo al ventiduesimo minuto (e cinquanta secondi), Rahul esulta per il punto appena segnato, grida YESSS e scrolla la testa vigorosamente, schizzando acqua, SUDORE, in tutte le direzioni, in una quantità che sembrerebbe impossibile da produrre per una sola persona.
E’ a questo punto che penso aspettate un attimo… è adesso che mi viene voglia di tirarmi su dal letto, raddrizzare la testa pigramente appoggiata su un cuscino. E’ ora che il mio mondo cambia. Che questo che sembrava un filmetto divertente diventa un capolavoro.
Che mi innamoro perdutamente e per sempre.
Mi innamoro di Bollywood ma ancora non lo so. E mi innamoro di Shah Rukh Khan.
Non come una fan del suo idolo ma con l’ardore delle poesie di Neruda.

Mia soave, di cosa odori?
Di che frutto?
Di che stella? Di che foglia?
Presso
il tuo piccolo orecchio
o sulla tua fronte
mi chino,
ficco
il naso tra i capelli
e il sorriso,
cerco di riconoscere
la stirpe del tuo aroma:
è soave, ma
non è fiore, non è coltellata
di penetrante garofano
o impetuoso aroma
di violenti
gelsomini,
è qualcosa, è terra,
è
aria,
mele o legnami,
odore
di luce sulla pelle,
aroma
della foglia
dell’albero
della vita

con polvere
di strade
e freschezza
d’ombra mattutina
alle radici,
odor di pietre, di fiume,
ma
più simile
a una pèsca,
al tepore
del palpito segreto
del sangue,
odore di casa pura
e di cascata,
fragranza
di colomba
e capelli,
aroma
della mia mano
che perlustrò la luna
del tuo corpo,
le stelle
della tua pelle stellata,
l’oro,
il grano,
il pane del tuo contatto,
e lì,
per tutta la lunghezza
della tua luce furiosa,
sulla tua circonferenza d’anfora,
sul calice,
sugli occhi del tuo seno,
fra le tue ampie palpebre
e la tua bocca di schiuma,
su tutto
lasciò,
la mia mano lasciò
odor d’inchiostro e selva,
sangue e frutti perduti,
fragranza
di obliati pianeti,
di puri
fogli vegetali,

il mio stesso corpo
sommerso
nella freschezza del tuo amore, amata,
come in una sorgente
o nel suono
di un campanile
lassù
tra l’odore del cielo
e il volo
degli ultimi uccelli,
amore,
odore,
parola
della tua pelle, dell’idioma
della notte nella tua notte,
del giorno nel tuo sguardo.
Dal tuo cuore
sale
il tuo aroma
come dalla terra
la luce fino alla cima del ciliegio:
sulla tua pelle io fermo
il tuo palpito
e odoro
l’onda di luce che ascende,
la frutta sommersa
nella sua fragranza,
la notte che respiri,
il sangue che esplora
la tua bellezza
fino a giungere al bacio
che mi attende
nella tua bocca.
(Ode al suo Aroma - Pablo Neruda)

Stasera sono diventata Anjali, Anna non c’è più. Se n'è andata dopo una scrollata di testa.

02 luglio 2010

TERRA CHIAMA BOLLYWOOD




Rahul invita Anjali a ballare e lei commenta “No music”.
Non ditemi che non sapete di cosa sto parlando, non ditemi che non avete mai desiderato essere al posto suo e urlare “Siiiiii music!!!!!!!!” per poi scrutare ogni angolo dalle colonnine del gazebo in attesa di qualche catastrofe naturale. Perché, quando qualcuno ti guarda in quel modo come minimo il cielo si deve aprire in due come cantato dall’Apocalisse e il coro degli angeli dovrà tentare la strada dell’heavy metal per catturare l’attenzione.

Raj va a ritrovare la sua Simran dall’altra parte del mondo, e non è nemmeno tanto sicuro di piacergli, un uomo normale al massimo fa quindici minuti di strada in auto, quando non c’è traffico, e solo se certo di combinare qualcosa. Al sedicesimo minuto sciupato per te è richiesto il pagamento della benzina. Data l’ansia di riabbracciare la propria donna provata dagli attuali trentenni (si, ansia fortissima...), se sei puntuale aspetti come minimo un’ora sotto il sole cocente o in piedi in mezzo alla folla nel peggior quartiere della città con la borsa aperta che grida ai quattro venti “scippami scippami” e la fronte sudata che fa colare quel po’ di fondotinta necessario per non apparire cadaverica. Ma non finisce qui... Appena entri in macchina si lamentano perché non sei "abbastanza in tiro". A quel punto la parola “tiro” si unisce in composti linguistici come “tiro a segno con la tua faccia” , “ti tiro con la baionetta” oppure “per questa volta passi, ma se ricapiti a tiro ti becchi due calci in...”.

E poi non è che ciò che vediamo nei film sia così difficile da realizzare praticamente, in teoria è addirittura facilissimo. Sì, o almeno lo sarebbe se gli uomini fossero un po’ più veloci a cogliere certe brillanti occasioni. Esempio uno: ti cade qualcosa dalle mani… lo calpestano; esempio due: qualcuno ti dà uno spintone dopo averti indicato la via più breve per Quel Paese... invece che far rotolare nella polvere i nemici per un tuo sguardo, ti invitano a “lasciar perdere”.

“Lascia perdere”... composto di due sole parole è l’inno dell’Apatia Sentimentale, movimento che raccoglie adepti, ammiratori e anche firmatari volontari in tutta la penisola, associato al gruppo “Se non sei tu è un’altra” e amico di Facebook di “Ma che ti affezioni a fare a una donna? Hai scoperto che ne puoi cambiare due al giorno come le T-shirts?”. Inutile dire che nella mia realtà bucolica popolata da prati in fiore, fiorellini e pastorelli, un uomo dovrebbe apprezzare il fatto che i pensieri della propria partner non siano riproducibili in serie come i gadget di Topolino. E invece no. La regola del Movimento Supremo Apatia ha le sue norme in vigore, regole ferree per le quali la testa è solo un gingillo da portare dal parrucchiere, alla frase “ti amo” si risponde con un “ok” , a “ho dei pensieri che mi disturbano” con un “ma che me ne importa son cavoli tuoi”, per non parlare di “mi sento giù e cerco coccole” prontamente troncata con “vai più in là che fa caldo per l’amor del cielo”. Se non riesci ad allacciarti la zip del vestito fai prima a chiamare il vicino, ma il vicino non assomiglia mai ad Arjun Rampal e questa è la solita sfiga, meglio tentare da soli fino a che le braccia si intrecciano irreversibilmente e non si può nemmeno dare la colpa ai giochi di ipnosi di massa tanto in voga nelle trasmissioni Rai. E poi cavolo... un po’ di fantasia!! Tutti lo sanno che la zip del vestito è sempre una scusa. Ecco perché i film indiani fanno male. Anzi sono addirittura nocivi.

Nei film di Bollywood si guardano negli occhi, e negli sguardi NON si legge l’entusiasmo di uno che è appena uscito dal dentista e tiene ancora stretto il tampone MA il desiderio di scavarti dentro, apprezzarti, amarti, conoscerti. Che strani che sono questi marziani… soffrono quando sono lontani, si corrono incontro, si abbracciano, si baciano sul collo, si toccano le mani. Dov’è la navicella spaziale? Sono questi gli usi e costumi del pianeta rosso? Allarme!!! Terra chiama Bollywood!! Storie di pura fantascienza, scordatevi di ritrovarle qui da noi.

Non c’è che da sperare in un futuro migliore. Le fan di Shahrukh attendono di gustarsi il primo film in 5D, tecnica avanzata della riproduzione visuale ancora in fase di sperimentazione, al momento se ne stanno studiando gli effetti collaterali. Nell’avveniristico 5D Shahrukh Khan non solo sarà visibile, avvicinabile e palpabile, ma anche capace di sollevare la spettatrice dalla poltroncina sotto lo sguardo incredulo del suo fidanzato scemo, probabilmente pronunciando un dialogo simbolico del tipo: “che hai da guardare? Potevi svegliarti prima...”. Un giorno la tecnologia premierà tanta fedele attesa e invece degli occhialini indosseremo la muta. Per immergerci meglio.

Non mi fraintendete, non è assolutamente vero che ce l’ho con tutti gli uomini... volendo ce l’ho pure con qualche donna. Perché? Semplice. Se tutte le ragazzine, ragazzotte e signore non stessero zitte davanti al ribrezzo emotivo dei maschi...(acci) magari arriva il giorno in cui qualcuno si sveglia.
Nella vita reale quanti hanno mai cantato una canzone alla propria donna? Puoi anche essere intonato come una rana finita nel water ma non avrebbe molta importanza. Alla fine è necessario solo un tocco di furbizia per intuire che con poco si ottiene tanto, e con tanto si ottiene tantissimo, il rapporto è 1:100 e 10 : 10.00. Seguire le lezioni di qualche Khan si potrebbe rivelare un investimento d’oro. Non dico che ci si debba rotolare per la gioia sopra il cofano di un auto in corsa, certe cose lasciamole fare solo al King, tutti gli altri possono provare semplicemente ad aprire bocca e pronunciare qualcosa di carino.
Konchen Ishtam Konchem Kashtam è un film telugu (*), grazioso anche se non uno dei migliori, però contiene una scena che andrebbe sottoposta ad analisi: un uomo adulto cerca di riconquistare la moglie e le urla in faccia con convinzione “voglio te!!!! “. Patapluf!! Ecco che cado dalla sedia. Allora rimando indietro di trenta secondi e ci penso un attimo: voglio + te significa: voglio ESATTAMENTE te, voglio NIENT’ALTRO che te, SOLO TE , specificato, TE e non un qualsiasi bipede sopra i 18 e sotto gli 80... ma proprio TE. Adesso vengo assalita da un timore improvviso, una paura lacerante mi fa sparire la fame di fronte al mio sacchetto di chips preferite. E se la stessa frase venisse visionata da uno dei membri dell’Associazione “Se non sei tu è un’altra”? Provocherebbe la messa al bando dai territori (e mari) nazionali di ogni dvd arrivato per posta da Hyderabad? Nel dubbio è meglio essere previdenti, se ne avete ancora una copia conservatela con cura e nascondetela seguendo l’esempio delle librerie clandestine di Farheneit 451.

(*) Il Telugu è una delle lingue ufficiali dell'India, parlata nello stato dell'Andhra Pradesh. Ci tengo a specificare che le lingue ufficialmente riconosciute sono trenta e i dialetti oltre duemila in una sola nazione, dato che c'è ancora qualcuno che mi ferma per strada chiedendomi la natura dei miei cari film in... "indiano"... mah...