03 novembre 2010

NIENTE E' TROPPO BELLO PER ESSERE VERO


Ottobre 2010


Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.

Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
Sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.

...

Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.
(Ode al Giorno Felice - Pablo Neruda)


Siete mai stati innamorati?

Durante il mio ultimo anno di liceo un mio compagno di classe mi telefonò per dirmi che ero l'amore della sua vita.
Io risi.
Senza inutile modestia, non era la prima volta che me lo sentivo dire. Non grazie al mio fascino (chi non ne possiede almeno un po'?) ma perchè ero forse una di quelle ragazze che danno l'impressione di aver bisogno della promessa di un impegno serio per accettare un appuntamento.
Acconsentii a vedere un film insieme perchè adoravo andare al cinema e, in aperta contraddizione con le apparenze, perchè questo mi bastava per uscire con un coetaneo che non mi suscitasse particolare avversione.
In platea io guardavo lo schermo e lui fissava me.
Non trascorse neanche la metà del primo tempo che mi trascinò fuori dalla sala per farmi sedere sui gradini appena prima dell'uscita di sicurezza. Io infuriata (che cosa voleva questo ragazzo che si metteva tra me e l'ultimo film di De Niro?), lui, jeans chiari e anfibi neri (mio malgrado cominciavo a guardarlo un po' anch'io), non smetteva mai di parlare.
A fine serata, sotto casa mia, appoggiato ad una colonna, mi tenne stretta a lungo. Io ferma, avvolta da un calore che non conoscevo, mi lasciai abbracciare senza capire perchè.
Come si dice quando scopri di aver bisogno di qualcosa che neanche sapevi esistesse?

Adesso, diciassette anni dopo, siamo insieme, aggrappati a delle transenne sistemate tra noi e una passerella rossa. Aspettiamo.

L'amore, per una che da bambina, mano nella mano con sua madre, ha sfilato in corteo l'8 marzo in mezzo a donne che urlavano l'utero è mio e me lo gestisco io, non è un affare semplice. L'indipendenza prima di tutto.
Guardare negli occhi una persona e sentire che ha nelle sue mani la tua vita, che da lui, da un suo sorriso, da una parola, dipende quello che rimarrà di te, è una scelta (perchè non si può forse più orgogliosamente, ostinatamente, intelligentemente e valorosamente rifiutare?).
Si tratta di un atto di fiducia deliberato. Di rinunciare un po' a se stessi, senza sapere mai (anzi sospettando sempre) se non sarebbe stato meglio fare spallucce ed occuparsi d'altro.

Io mi sono innamorata di due persone in vita mia.
Una è quella al mio fianco con gli occhi arrossati come i miei, le mani sudate, la febbre nel cuore, le gambe che tremano e l'eccitazione nella voce.
L'altra è quella che sta per arrivare.

Ore 19:00.
La musica parte, cominciano le danze.
Lo vedo.
La prima cosa che penso è che mi piace. E' proprio lui. E' così che lo immaginavo, che lo sognavo, che sapevo sarebbe stato.
Si avvicina.
Cammina come solo lui sa, vestito di nero, gli occhi strizzati (a causa delle luci o della miopia?). E' bellissimo.
Tende la mano. Io allungo il braccio e, senza rendermene conto subito, comincio a pronunciare, sotto voce, tra me e me, una preghiera, una speranza, un mantra:
shahrukhshahrukhshahrukhshahrukhshahrukhshahrukhshahrukhshahrukh.
Poi gli prendo la mano, la tengo, la stringo.
Il tempo si ferma. Silenzio. Non avverto alcun suono. Non vedo, sono cieca.
La terra sussulta, fuochi si accendono, crescono e scaldano, le acque sono agitate, rimescolate, l'aria trema.
Solo per un attimo.

Lo lascio andare.

Porto la mano al viso. Profuma di ristorante indiano, di spezie e incenso. Sa di buono.

26 luglio 2010

KUCH KUCH HOTA HAI - QUALCOSA E' SUCCESSO

Ottobre 2006

Ore 20.00 in via Palmieri a Milano. Sono davanti al portone della mia amica Chiara Cenko.
Piove.
Stasera mi ha convinto, non so come, a venire a casa sua per vedere un film indiano, in Hindi (!) sottotitolato in inglese (!!). Per peggiorare la situazione ci sarà anche LuceSole, magra come un chiodo (accidenti a lei), sempre luminosa e sorridente come se non le fosse mai capitato nella vita di pestare una cacca con dei sandali di camoscio nuovi.
Io sono Anna. Anna Guerra. Ho capelli lunghi biondi ed una quarta di reggiseno. Avete presente quei bellissimi, microscopici reggiseno a balconcino, di coloratissimo ed impalpabile pizzo? Per me sono un sogno proibito. Io mi posso permettere solo quelli rinforzati.
Tonalità? Nero, bianco e carne.
Spesso per strada le persone si girano a guardarmi, io invece vorrei essere trasparente.
La gente non mi piace, in metropolitana ti si appiccica addosso anche se il vagone è vuoto. Nessun rispetto per gli spazi altrui, figuriamoci per le altrui idee.

Eccomi nell’appartamento di Cenko. Sono qui perché lei me lo ha chiesto. E perché amo il Cinema.
Tra i miei ricordi più belli di bambina c’è quello delle domeniche pomeriggio passate nella sala dell’oratorio del mio quartiere a guardare film. Io e la mia amichetta del cuore raggiungevamo a piedi il cinema e compravamo un sacchetto di caramelle rosse e gialle, al gusto di fragola e banana, e una coca cola.
Mia madre, nell’Era in cui i cellulari non esistevano, mi aspettava a casa, l’ansia che aumentava al crescere dell’attesa.
Io, sulla strada del ritorno, perdevo la cognizione del tempo, mi attardavo, perché chiacchierare del film appena visto era bello quasi quanto essere al cinema.
Persino oggi che sono adulta e ho letto illuminanti quanto inquietanti libri sulla globalizzazione e la politica delle multinazionali, per me il sapore della coca cola è quello dell’evasione, dell’indipendenza e della libertà.

Buio, sono accoccolata sul letto di Cenko, parte una musichetta e sullo schermo compare una scritta azzurra, al neon: il titolo del film.
Prima inquadratura: un uomo (il fratello indiano di Toto Cutugno?) è in piedi davanti ad una pira. La moglie di Cutugno è morta dando alla luce una bimba.
Mentre le immagini scorrono, Cenko è all’estremità del letto, sulla punta, seduta così compostamente da non sembrare neanche completamente appoggiata. Di tanto in tanto interviene con un commento, con un’informazione su un attore, per sottolineare un particolare, anticipare una scena o una battuta.
Ridiamo ma non è una serata normale questa. Qualcosa sta succedendo.

Gran parte del primo tempo è un lungo flashback che svela la storia dell’uomo di fronte alla pira. Rahul, ragazzo sfrontato, allegro e un po’ spaccone, frequenta il college. La sua più grande amica è Anjali. I due hanno un rapporto giocoso, fatto di reciproche prese in giro, scherzi, piccoli litigi e riconciliazioni.
Durante una sfida di pallacanestro, uno contro uno, Rahul, esasperato perché non riesce a battere Anjali, le fa uno sgambetto e va a canestro. Siamo al ventiduesimo minuto (e cinquanta secondi), Rahul esulta per il punto appena segnato, grida YESSS e scrolla la testa vigorosamente, schizzando acqua, SUDORE, in tutte le direzioni, in una quantità che sembrerebbe impossibile da produrre per una sola persona.
E’ a questo punto che penso aspettate un attimo… è adesso che mi viene voglia di tirarmi su dal letto, raddrizzare la testa pigramente appoggiata su un cuscino. E’ ora che il mio mondo cambia. Che questo che sembrava un filmetto divertente diventa un capolavoro.
Che mi innamoro perdutamente e per sempre.
Mi innamoro di Bollywood ma ancora non lo so. E mi innamoro di Shah Rukh Khan.
Non come una fan del suo idolo ma con l’ardore delle poesie di Neruda.

Mia soave, di cosa odori?
Di che frutto?
Di che stella? Di che foglia?
Presso
il tuo piccolo orecchio
o sulla tua fronte
mi chino,
ficco
il naso tra i capelli
e il sorriso,
cerco di riconoscere
la stirpe del tuo aroma:
è soave, ma
non è fiore, non è coltellata
di penetrante garofano
o impetuoso aroma
di violenti
gelsomini,
è qualcosa, è terra,
è
aria,
mele o legnami,
odore
di luce sulla pelle,
aroma
della foglia
dell’albero
della vita

con polvere
di strade
e freschezza
d’ombra mattutina
alle radici,
odor di pietre, di fiume,
ma
più simile
a una pèsca,
al tepore
del palpito segreto
del sangue,
odore di casa pura
e di cascata,
fragranza
di colomba
e capelli,
aroma
della mia mano
che perlustrò la luna
del tuo corpo,
le stelle
della tua pelle stellata,
l’oro,
il grano,
il pane del tuo contatto,
e lì,
per tutta la lunghezza
della tua luce furiosa,
sulla tua circonferenza d’anfora,
sul calice,
sugli occhi del tuo seno,
fra le tue ampie palpebre
e la tua bocca di schiuma,
su tutto
lasciò,
la mia mano lasciò
odor d’inchiostro e selva,
sangue e frutti perduti,
fragranza
di obliati pianeti,
di puri
fogli vegetali,

il mio stesso corpo
sommerso
nella freschezza del tuo amore, amata,
come in una sorgente
o nel suono
di un campanile
lassù
tra l’odore del cielo
e il volo
degli ultimi uccelli,
amore,
odore,
parola
della tua pelle, dell’idioma
della notte nella tua notte,
del giorno nel tuo sguardo.
Dal tuo cuore
sale
il tuo aroma
come dalla terra
la luce fino alla cima del ciliegio:
sulla tua pelle io fermo
il tuo palpito
e odoro
l’onda di luce che ascende,
la frutta sommersa
nella sua fragranza,
la notte che respiri,
il sangue che esplora
la tua bellezza
fino a giungere al bacio
che mi attende
nella tua bocca.
(Ode al suo Aroma - Pablo Neruda)

Stasera sono diventata Anjali, Anna non c’è più. Se n'è andata dopo una scrollata di testa.

02 luglio 2010

TERRA CHIAMA BOLLYWOOD




Rahul invita Anjali a ballare e lei commenta “No music”.
Non ditemi che non sapete di cosa sto parlando, non ditemi che non avete mai desiderato essere al posto suo e urlare “Siiiiii music!!!!!!!!” per poi scrutare ogni angolo dalle colonnine del gazebo in attesa di qualche catastrofe naturale. Perché, quando qualcuno ti guarda in quel modo come minimo il cielo si deve aprire in due come cantato dall’Apocalisse e il coro degli angeli dovrà tentare la strada dell’heavy metal per catturare l’attenzione.

Raj va a ritrovare la sua Simran dall’altra parte del mondo, e non è nemmeno tanto sicuro di piacergli, un uomo normale al massimo fa quindici minuti di strada in auto, quando non c’è traffico, e solo se certo di combinare qualcosa. Al sedicesimo minuto sciupato per te è richiesto il pagamento della benzina. Data l’ansia di riabbracciare la propria donna provata dagli attuali trentenni (si, ansia fortissima...), se sei puntuale aspetti come minimo un’ora sotto il sole cocente o in piedi in mezzo alla folla nel peggior quartiere della città con la borsa aperta che grida ai quattro venti “scippami scippami” e la fronte sudata che fa colare quel po’ di fondotinta necessario per non apparire cadaverica. Ma non finisce qui... Appena entri in macchina si lamentano perché non sei "abbastanza in tiro". A quel punto la parola “tiro” si unisce in composti linguistici come “tiro a segno con la tua faccia” , “ti tiro con la baionetta” oppure “per questa volta passi, ma se ricapiti a tiro ti becchi due calci in...”.

E poi non è che ciò che vediamo nei film sia così difficile da realizzare praticamente, in teoria è addirittura facilissimo. Sì, o almeno lo sarebbe se gli uomini fossero un po’ più veloci a cogliere certe brillanti occasioni. Esempio uno: ti cade qualcosa dalle mani… lo calpestano; esempio due: qualcuno ti dà uno spintone dopo averti indicato la via più breve per Quel Paese... invece che far rotolare nella polvere i nemici per un tuo sguardo, ti invitano a “lasciar perdere”.

“Lascia perdere”... composto di due sole parole è l’inno dell’Apatia Sentimentale, movimento che raccoglie adepti, ammiratori e anche firmatari volontari in tutta la penisola, associato al gruppo “Se non sei tu è un’altra” e amico di Facebook di “Ma che ti affezioni a fare a una donna? Hai scoperto che ne puoi cambiare due al giorno come le T-shirts?”. Inutile dire che nella mia realtà bucolica popolata da prati in fiore, fiorellini e pastorelli, un uomo dovrebbe apprezzare il fatto che i pensieri della propria partner non siano riproducibili in serie come i gadget di Topolino. E invece no. La regola del Movimento Supremo Apatia ha le sue norme in vigore, regole ferree per le quali la testa è solo un gingillo da portare dal parrucchiere, alla frase “ti amo” si risponde con un “ok” , a “ho dei pensieri che mi disturbano” con un “ma che me ne importa son cavoli tuoi”, per non parlare di “mi sento giù e cerco coccole” prontamente troncata con “vai più in là che fa caldo per l’amor del cielo”. Se non riesci ad allacciarti la zip del vestito fai prima a chiamare il vicino, ma il vicino non assomiglia mai ad Arjun Rampal e questa è la solita sfiga, meglio tentare da soli fino a che le braccia si intrecciano irreversibilmente e non si può nemmeno dare la colpa ai giochi di ipnosi di massa tanto in voga nelle trasmissioni Rai. E poi cavolo... un po’ di fantasia!! Tutti lo sanno che la zip del vestito è sempre una scusa. Ecco perché i film indiani fanno male. Anzi sono addirittura nocivi.

Nei film di Bollywood si guardano negli occhi, e negli sguardi NON si legge l’entusiasmo di uno che è appena uscito dal dentista e tiene ancora stretto il tampone MA il desiderio di scavarti dentro, apprezzarti, amarti, conoscerti. Che strani che sono questi marziani… soffrono quando sono lontani, si corrono incontro, si abbracciano, si baciano sul collo, si toccano le mani. Dov’è la navicella spaziale? Sono questi gli usi e costumi del pianeta rosso? Allarme!!! Terra chiama Bollywood!! Storie di pura fantascienza, scordatevi di ritrovarle qui da noi.

Non c’è che da sperare in un futuro migliore. Le fan di Shahrukh attendono di gustarsi il primo film in 5D, tecnica avanzata della riproduzione visuale ancora in fase di sperimentazione, al momento se ne stanno studiando gli effetti collaterali. Nell’avveniristico 5D Shahrukh Khan non solo sarà visibile, avvicinabile e palpabile, ma anche capace di sollevare la spettatrice dalla poltroncina sotto lo sguardo incredulo del suo fidanzato scemo, probabilmente pronunciando un dialogo simbolico del tipo: “che hai da guardare? Potevi svegliarti prima...”. Un giorno la tecnologia premierà tanta fedele attesa e invece degli occhialini indosseremo la muta. Per immergerci meglio.

Non mi fraintendete, non è assolutamente vero che ce l’ho con tutti gli uomini... volendo ce l’ho pure con qualche donna. Perché? Semplice. Se tutte le ragazzine, ragazzotte e signore non stessero zitte davanti al ribrezzo emotivo dei maschi...(acci) magari arriva il giorno in cui qualcuno si sveglia.
Nella vita reale quanti hanno mai cantato una canzone alla propria donna? Puoi anche essere intonato come una rana finita nel water ma non avrebbe molta importanza. Alla fine è necessario solo un tocco di furbizia per intuire che con poco si ottiene tanto, e con tanto si ottiene tantissimo, il rapporto è 1:100 e 10 : 10.00. Seguire le lezioni di qualche Khan si potrebbe rivelare un investimento d’oro. Non dico che ci si debba rotolare per la gioia sopra il cofano di un auto in corsa, certe cose lasciamole fare solo al King, tutti gli altri possono provare semplicemente ad aprire bocca e pronunciare qualcosa di carino.
Konchen Ishtam Konchem Kashtam è un film telugu (*), grazioso anche se non uno dei migliori, però contiene una scena che andrebbe sottoposta ad analisi: un uomo adulto cerca di riconquistare la moglie e le urla in faccia con convinzione “voglio te!!!! “. Patapluf!! Ecco che cado dalla sedia. Allora rimando indietro di trenta secondi e ci penso un attimo: voglio + te significa: voglio ESATTAMENTE te, voglio NIENT’ALTRO che te, SOLO TE , specificato, TE e non un qualsiasi bipede sopra i 18 e sotto gli 80... ma proprio TE. Adesso vengo assalita da un timore improvviso, una paura lacerante mi fa sparire la fame di fronte al mio sacchetto di chips preferite. E se la stessa frase venisse visionata da uno dei membri dell’Associazione “Se non sei tu è un’altra”? Provocherebbe la messa al bando dai territori (e mari) nazionali di ogni dvd arrivato per posta da Hyderabad? Nel dubbio è meglio essere previdenti, se ne avete ancora una copia conservatela con cura e nascondetela seguendo l’esempio delle librerie clandestine di Farheneit 451.

(*) Il Telugu è una delle lingue ufficiali dell'India, parlata nello stato dell'Andhra Pradesh. Ci tengo a specificare che le lingue ufficialmente riconosciute sono trenta e i dialetti oltre duemila in una sola nazione, dato che c'è ancora qualcuno che mi ferma per strada chiedendomi la natura dei miei cari film in... "indiano"... mah...

15 giugno 2010

**Jahangir Video**

ottobre 2006

suono il citofono. cenko risponde ARRIVOO!! perforandomi un timpano e - contestualmente - informando tutto lo stadera. lancio un'occhiata in giro strofinandomi l'orecchio. mi auguro di riacquistare l'udito prima di natale. nel negozio accanto un gruppo di ragazzi magrebini scherza con la proprietaria. un sorridente donnone sulla quarantina in jeans e velo variopinto. da vicino non sembrano minacciosi come scrivono sui giornali.
cenko emerge trafelata dal portone scrostato. mi artiglia un braccio trascinandomi di peso verso la montegani. ho visto che hanno aperto in via meda un negozio di dvd indiani!! non è pazzesco?? dobbiamo assolutamente farci un salto. dài. sbrigatiii!! (molla la presa) ma ci pensi?? magari... non afferro il resto. quando cenko cade preda di questi attacchi di frenesia è inutile tentare di calmarla o zittirla. perde la percezione del mondo circostante. potrei precipitare lunga verticale in un tombino aperto e annegare nelle fogne milanesi. lei se ne accorgerebbe il giorno dopo leggendo la notizia su city. al semaforo - rosso - finalmente registra la mia assenza. si volta e gesticola in modo teatrale spaventando anche un piccione.

attraversiamo viale cermenate ed imbocchiamo via meda. avverto un certo disagio: siamo off-stadera e si vede. palazzi più signorili. strade più pulite. ma ecco a deturpare lo scenario:

Jahangir Video

giallo su fondo blu. l'insegna ci strappa un sorriso e cenko emette un uuuhh!! di giubilo. in vetrina dvd di film sconosciuti mostrano volti sconosciuti. commenti & gridolini da parte nostra. all'interno facce brune ci osservano sbigottite.
entriamo.
l'ambiente è piccolo e luminoso. dallo stereo fragore bollywoodiano. centinaia di dvd sugli scaffali. non abbiamo le idee molto chiare. non sappiamo cosa guardare né cosa cercare. parlottiamo indichiamo col dito profaniamo custodie ridiamo. gli altri clienti - tutti asiatici - mantengono un signorile silenzioso distacco (anche fisico). chiedo: beh? cosa prendiamo? cenko si mette a contare le lettere dei titoli. il primo multiplo di cinque che trovo è mio!! annuncia. le sue manie da pazza svitata sono più numerose delle divinità hindu.

QUINDICI!! KUCH KUCH HOTA HAI!!
(atroce pronuncia hindi)
(un tizio se ne va indignato)
SCUSII!! (rivolta all'atterrito commesso) DI COSA PARLA QUESTOO??
il ragazzo - sopravvissuto allo shock - si lancia in un surreale monologo di un quarto d'ora: in italiano ma con una sintassi come minimo extra-planetaria. di quell'atroce esperienza ricordo solo le parole:
poi (pronunciata più volte)
allora (idem)
succede
ragazzo (idem)
vanno
dice (idem)
e (idem)
ragazza (idem)
bello
sposare
musica
bambina.
il tutto senza alcuna intonazione. il commesso all'improvviso si zittisce e ci guarda in attesa. cenko & io ammutolite. due bocche - le nostre - a forma di O. passano i secondi. passano i minuti. non osiamo porre ulteriori domande. paghiamo e ci diamo letteralmente alla fuga. soddisfatte frastornate giulive.

è l'inizio di una **Nuova Era Geologica** e nessuna pioggia di asteroidi ad annunciarla. nessun dinosauro da abbattere (tristezza). ma allo stadera non ci formalizziamo. e gli effetti speciali sono robaccia da hollywoodiani sfigati dài.

eLLeSSeDì

03 giugno 2010

MAX & L'ALTRA


Dicevo: Max è il mio fidanzato. Massimo Bonacchi. Fiorista. Riservato e gentile. Abile a disattivarsi in modalità stand-by ed indurre gli altri a dimenticarsi di lui. Max osserva bonario la vita, la gente. Nei tragitti in metropolitana lancia occhiate furtive ai passeggeri. Poi crea: vedi quella donna col sacchetto della spesa? Da ragazza studiava la cornamusa. (io: la cornamusaa??) Si è innamorata del suo maestro. Una storia difficile. (pausa) Lui più anziano di 15 anni. Con baffi imbarazzanti. La madre minacciava il suicidio rifugiandosi in solaio. Ma si sono sposati. Ora hanno un figlio all'università. Studente di management e comunicazione. (pausa) La vergogna della famiglia. Massimo si diverte ad estrarre personaggi dalle persone che non conosce. E si immagina tutto, dal tono della voce ai sogni nel cassetto al conto in banca. Ho conosciuto tipi più bizzarri.

Dicevo anche: Max è meno pertinente. Nel senso: è abbastanza saggio o abbastanza incosciente da condividere la mia ossessione, ma non è precipitato nel gorgo come noi del klan. Non gliene faccio una colpa. Lui s'impegna molto. Spesso si entusiasma. Soprattutto non denigra il cinema indiano: ci tiene ad arrivare alla vecchiaia, possibilmente vivo. E questo mi basta.
Ma.
Ma ha un'altra.

L'altra si chiama Aishwarya. Rai di cognome. No. Non è italiana. Professione: attrice bollywoodiana. Mestiere da sogno, diciamolo. Il concetto di collocazione perfetta nel cosmo per Max: lui in poltrona, Ash sullo schermo. Effetti fisiologici: perdita di lucidità, mutismo allarmante, apnea (anche cerebrale). Però gli ricrescono i capelli. Io assisto impotente alla degradazione. Non so se chiamare la guardia medica o accoltellarlo. Meglio: prima lo accoltello, poi chiamo la guardia medica.
Allora, Ash è:
- bella da paura.
Poi, Ash non è:
- anoressica
- grassa
- bassa
- spilungona
- stupida
- volgare
- antipatica.
(LA ODIO)
Peggio: non è di polipropilene come quell'umanoide sintetico della Jolie.
Forse il cinema indiano non è stato una buona scelta.

(scherzavo)

Ma noi bollywoodiani tosti, che non ci spappoliamo il cervello con la tivù e con Hollywood, partoriamo sempre idee geniali. Così ho pensato: perché non sfruttare Aishwarya a mio vantaggio? Intanto, per farsi perdonare il tradimento virtuale, Max il bigamo si sorbisce muto e immobile le no stop di Don, con fidanzata - io - che sdilinquisce ad ogni sguardo killer del Re: 'ma lo vedi quant'è figoo??' - scrollata energica - 'ma lo vedi QUANT'E' FIGOO??' - seconda scrollata energica - 'MAMMA NON CE LA FACCIO!!' - mi copro teatralmente gli occhi con una mano, con l'altra brancolo alla ricerca del telecomando, riapro gli occhi, riguardo lo stesso singolo fotogramma cento-duecento volte. Eccetera così per diciotto ore di fila.
Poi: Ash produce in Massimo un inaspettato effetto tonificante. Sarà la circolazione (del sangue), sarà l'eccitazione, sarà qualche oscura diavoleria telecinetica che si propaga dallo schermo, ma di certo il mio indegno fidanzato, post-trattamento, mi viene restituito vivificato e ringiovanito. E c'è ancora gente che spreca tempo sudore e denaro in palestra.
Poi: devo discutere con il klan di argomenti di vitale importanza - tipo se preferiremmo finire sepolte vive sotto una slavina in compagnia di Aamir Khan o di Shah Rukh Khan o di tutti e due - e Massimo ronza intorno alterandoci il mood? Fase uno: collocare il dvd di Dhoom:2 nel lettore. Fase due: collocare il fidanzato sulla poltrona. Fase tre: attendere l'ingresso in scena di Ash. Max si pietrifica. Potrei perforarlo con un trapano e non uscirebbe una goccia di sangue. Fase quattro: abbandonarlo senza rimorso e tornare di corsa dal klan per sviscerare.

(No. L'uomo nella foto non è Max)

30 maggio 2010

dell'amicizia

cenko ed io ci siamo conosciute a lezione di hindi. anno: 2004. location: scuola pubblica di via palmieri. forse conosciute non è appropriato. diciamo che occupavamo spazi adiacenti ogni lunedì sera dalle otto alle nove e mezza. non che avessimo molto in comune. cenko è un tipo neutro che indossa colori neutri e interagisce col mondo esterno in tono neutro. fra noi 15 anni di dislivello anagrafico. poi una sera mi avventuro nel suo micro-appartamento in palmieri bassa. tana da perfettina. pulizia nauseante. ordine maniacale. i libri allineati per altezza. cenko apre l'armadio. GLI ABITI SIGILLATI DAL CELLOPHANE (ho ancora i brividi). in breve: ambiente ripugnante. non vedo l'ora di andarmene. non sai mai queste matte fissate cosa nascondono sotto il letto. magari un'ascia ben lucidata e disinfettata con cui fanno a pezzi gli ospiti. immagino nei cassetti le mutande impilate per colore. reprimo un conato. non mi sento tanto bene. cenko mi offre da bere. il frigo - uno scintillante smeg a suscitare l'invidia del ciarpame ikea che lo accerchia - è praticamente vuoto. non so. forse il cibo crea disordine e cenko preferisce privarsene.

poi succede. mi cade l'occhio sui cd. tutti in ordine alfabetico ofcourse. lettera effe. il cuore perde un battito. estraggo la custodia con religiosa devozione. cenko - sguardo luminoso e sorriso soddisfatto - pronuncia
**LA FRASE**
'ah li conosci? io ne vado pazza!!! uno dei cinque album migliori della storia!' e blàblàblà. il mio cervello ancora paralizzato dalla sacralità del momento registra l'entusiasmo colorato di rosso e di viola con cui mi parla del cd. questi improvvisi e inaspettati scoppi di passione contraddistinguono cenko. ma lo avrei imparato solo in seguito. registro anche un'altra cosa: la mia brusca violenta inversione a u. tutto uno stridio di freni frizione frullatori. i tergicristalli si impennano. gli occhi si incollano alla nuca. si affaccia un pensiero. anzi una convinzione. anzi una strategia: QUESTA CREATURA DEVE DIVENTARE MIA AMICA. non solo: ti va di scrostarti le narici con i miei vestiti? cenko: Puoi Farlo. ti va di lucidarti le suole degli infradito sul mio cuoio capelluto? cenko: Puoi Farlo.

la nostra amicizia è iniziata con i **Franz Ferdinand**. ma si è cementata grazie a bollivùd. perchè l'amicizia diventa a prova di esplosione nucleare solo al verificarsi di due condizioni:
uno - hai un'ossessione (se di natura bollywoodiana meglio)
e due - hai degli amici che la condividono.
basta. è fatta. l'ossessione cancella tutto il resto: lavoro famiglia salute fidanzati cibo soldi futuro passato ambizioni. e gli amici che condividono la tua ossessione diventano **Gli Amici**, secondi per importanza solo all'ossessione stessa. l'universo si comprime e si limita a questi due fattori: ossessione e amici di ossessione. e tu raggiungi in un balzo la perfezione che tanti agognano.
anjali cenko & luce. unite fino alla morte. gli altri:
E-S-C-L-U-S-I
(ma sparite!).

eLLeSSeDì

14 maggio 2010

IL BRUFOLO DEL BOLLYWOODIANO



Impossibile portare avanti la passione del cinema indiano senza incazzarsi quotidianamente, mettetevelo nella testa, e vivere una vita normale diventerà un lusso da concedersi in rare occasioni. Il fegato ne risente, la bile diventa più verde dell’incredibile Hulk, una volta che spunta il brufolo sulla guancia, il Brufolo Del Bollywoodiano, il mondo intero verrà a conoscenza della pericolosa anomalia. Scordatevi la vita di prima, quella fatta di allegre e tranquille conversazioni.

Se ci penso bene sembra una sciocchezza. A chi importerebbe sapere quali film guardo? Non credo che l’Ansa venga a chiedermelo per pubblicarlo negli aggiornamenti e sono ancora convinta che la Terra possa mantenere inalterata l’azione centrifuga mentre io cerco di farmi i fatti miei. Sbagliato.
A questo mondo si possono avere le passioni più stravaganti purchè siano socialmente accettate e riconosciute come “possibili”. Vuoi per una mancata promozione, per un pregiudizio latente o che so io, Bollywood non è una di queste, e io ho avuto la sfortuna di beccare uno dei pochi interessi che continua a suscitare scalpore. Toh che sfiga!! La frase “impazzisco per il cinema indiano” finisce in un traduttore automatico che la trasforma in “sono un cacciatore di teste” o qualcosa di simile, altrimenti la gente smetterebbe di guardarmi come se girassi per gli scaffali del supermercato in bikini e parrucca settecentesca.

Quando il Brufolo Del Bollywoodiano inizia a spuntare due sono le strade da percorrere:

1) Nasconderlo.

Ci ho provato il primo anno. Ottima strategia.
I dvd che scottano restano mischiati in mezzo ad altri più innocui, Amazon e e-Bay servono solo per comprare caricabatterie di cellulari o scarpe da ginnastica a buon mercato. Se ci piace qualche canzone si guarda il video in YouTube, discretamente senza lasciare traccia - primo click: compare; secondo click: scompare. I vostri amici non vi odieranno per questo, nessuno si accorgerà di nulla. Poi arriva un giorno in cui si memorizza qualcosa nell’mp3, si allunga l’occhio su una vetrina di abiti sgargianti e si ricercano scene di un film già visto solo perché le immagini sono carine, la musica resta in testa e gli attori... beh gli attori sono “strani” e si guardano in modo “strano”.

Il problema nasce poi. Nel momento in cui proverete il desiderio di dividere i dvd alieni dalla normale pappa e pancotto che avete parcheggiato sullo scaffale da anni: lì c’è una chiara avvisaglia di pericolo. Il materiale compromettente, così isolato, sarà più facilmente individuabile da chiunque entri in casa vostra, le persone dall’indice cronicamente puntato contro sapranno riconoscere a colpo d’occhio il numero delle copie che cresce, che si estende fino ad arrivare alla mensola della cucina, scalzando dal suo posto anche il manuale di paste e risotti, il modellino della torre di Pisa soccombe davanti al più elegante Taj Mahal, e la bomboniera della cresima del cugino di quarto grado finisce nella spazzatura per far spazio all’edizione deluxe di Om Shanti Om con il Re in bellavista. Sì lo so che l’Italia non è più una monarchia dal '46, infatti stavo immaginando un Re con frangettone e fossette.
A questo punto i criticoni andranno direttamente al pronto soccorso per farsi mettere la stecca, in modo da mantenere comodamente l’indice puntato.

Piano piano inizierete a lasciare a casa l’orologio perché avendo solo due braccia infestate di braccialetti sarà difficile trovare un posto per lui. E poi l’orologio è una noia. Io mio oriento come facevano i vecchietti di una volta, a istinto, a occhio. Come cuoci la pasta? A occhio, sento che rumore fa a contatto con la forchetta. Come ti accorgi quando è ora di andar via dal lavoro? Semplicemente quando inizio a vedere la fila delle macchine imbottigliate. La mattina mi sveglio senza bisogno che mi suoni sul timpano la nona di Beethoven e se perdo il pullman non è la fine del mondo. Ovviamente nei casi estremi tiro fuori il cellulare dalla borsa, a lui si può permettere di mantenere in un angolo del suo schermo un minimo di contatto con la realtà.

Quando inizierete a citare nei vostri discorsi strani composti chimici - OSO, DDLJ, K3G, KANK, DCH, KKHH, MNIK - e sarete pronti ad usare un linguaggio settoriale degno dell’astrofisico più snob, a quel punto non resta che imboccare il secondo sentiero:

2 ) Ostentarlo.

Qualsiasi cosa nasca tra ostacoli e difficoltà o muore stecchita prima di crescere o diventa più forte che mai e come una pianta rampicante si impossessa dell’intero edificio.

Vittime di un continuo e immotivato disprezzo da parte di chiunque possegga il dono della parola (facoltà che andrebbe ridistribuita con parsimonia), gli appassionati di Bollywood trovando tutte le porte chiuse si rifugiano nei propri covi: forum, chat, FaceBook, eventi in giro per l’Italia (1.000 km per rivedere un film già visto 12 volte in dvd ma mai sul grande schermo), negozi e ristoranti indiani sparsi per la penisola (il piatto tipico di Bologna è attualmente il Palak Paneer), fino a diventare cittadini del mondo.

Esempi di frasi ricorrenti:

- Sai che sono stata a Londra? (per provare l’ebbrezza di andare al cinema)
- Ho passato un fantastico weekend a Parigi (avresti dovuto vedere DOVE)
- Mi consigli un hotel centrale a Roma? (per centrale si intendono solo i dintorni di Piazza Vittorio)
- Adoro la Germania!!!!! (perché è diventata Bollywoodlandia)

Anche quando le risorse economiche sventolano bandiera bianca non si interrompe l’abbonamento a Filmfare e si fa di tutto per poter passare una domenica in compagnia, a costo di regalare cinquanta euri a Trenitalia. Si sceglie Firenze per il ponte dell’Immacolata piuttosto che Sestrière, si studiano decine di lingue fino a che il cervello ha le crisi d’identità e il proprio dialetto regionale si mischia al Telugu, ci si ostina a portare capi leggeri e colorati anche a gennaio, e potremmo staccare a morsi la mano della parrucchiera quando si accosta innocua suggerendoci di tagliare i capelli. Risposta: Maaai…

E si diventa antipatici, noiosi agli occhi degli altri, e quel che è peggio, anomali.

Anomala. Non c’è niente di più pericoloso che dimostrare un’attitudine diversa e un’imbarazzante riluttanza alle imposizioni. COME MAI il mercato decide che mi deve piacere Brad Pitt o qualsiasi bellimbusto residente negli Usa e non posso lasciar sollazzare gli ormoni di fronte alla vista di un Khan? Mi fate parlare con questo Signor Mercato? Voglio invitarlo a farsi i c… suoi!! Perché conosciamo anche come Tom Cruise fa partorire la moglie secondo le regole di Scientology ma è assolutamente proibito considerare, solo per un istante, la presenza di un’altra faccia del globo? Troppa fatica? Alcuni dicono “Perché non ci rappresenta”, “Perché non c’è identificazione”. Osservazioni stupide. Non credo che la routine di una casalinga media abbia avuto a che vedere con i casini di Beautiful ma quella noia è andata avanti per secoli. Non credo di identificarmi con le bonazze armate di Charlie’s Angels né ho mai sentito che la mia vita, usi e costumi, fossero troppo uguali a quelli di Uma Thurman in Kill Bill. Per fortuna.

Dopotutto è un film, un prodotto in celluloide, è innocuo, giuro che non esplode… perché non provare a vederlo? Non viene richiesto di lanciarsi da un precipizio legati per le mutande e cosparsi di pece ma solo di stare seduti tre ore e possibilmente aspettare la fine prima di girare il culo dall’altra parte. Sì, mi rimangio tutto, avete ragione... è veramente troppa fatica. Mi rendo conto che la novità crea più allergie di pioppi e graminacee.

Ma ecco che arriva a spiegarmi la lezione del giorno L’Italiano cachino.
L’Italiano cachino è quello che vuole vivere secondo regole ben precise, con la villetta recintata, la macchina spaziosa e tirata a lustro come i pavimenti di S. Pietro, la moglie allegramente costretta in una 42 e i figli vestiti di tutto punto, che non possono rotolarsi a terra o saltare sul divano, e ai quali si insegna tempestivamente ad aver paura dell’Uomo Nero. La famiglia felice cena tranquillamente in silenzio con il sottofondo del Telegiornale che canta come un menestrello le peggiori sciagure. Anche il gatto ha capito che è inopportuno disturbare e preferisce grattarsi allo spigolo, non trova ginocchia su cui fare balzi perché i pantaloni sono di Denny Rose, ed è abbastanza furbo da schifare le firme, lui. Che succede alla fine del pasto? Il papà fa zapping tra i 376 canali sportivi della Paytv, la mamma si anestetizza il cervello con un reality, i bambini si attaccano alla Playstation o interagiscono con la Wee, meglio se se ne vanno in un’altra stanza almeno non scassano le balle. Il problema è stare insieme, non solo fisicamente nello stesso luogo ma dividendo qualcosa, anche una piccola cosa, che non sia la brocca dell’acqua e nemmeno la tazza del cesso.

La condivisione. Ecco il primo fenomeno paranormale che mi ha trascinata verso Bollywood quando ancora ero solo una turista in cerca di viaggi avventurosi, una tipa strana armata di scarponi, guida e zaino pieno di polvere ma altamente equipaggiato. Ero curiosa e questo è un buon inizio, ma ancora viaggiavo per fare la bella al mio ritorno (viva la sincerità), le esperienze non mi toccavano fino in fondo e avevo fatto mia la regola del “un posto vale l’altro, quello che conta è il viaggio, l’India è solo uno dei tanti” e altri bla bla bla. Povera tonta. Più interessata ai decori di un tempio che a ciò che stava succedendo fuori mi dilungavo a scattare noiosissime fotografie da turista spaccona, quelle da rielaborare al computer o da passare agli amici come possibili desktop, ma grazie al cielo (o ahimè) non persi abbastanza tempo da non accorgermi che l’incredibile, il meraviglioso, mi stava già davanti.

Un venditore di caramelle e tabacco tira fuori un piccolo televisore e una folla di gente si siede nella piazzetta, in tempo record si riunisce un pubblico di tutte le età, TUTTI INSIEME, intenti a guardare forse per la millesima volta alcuni video tratti da film di successo, conoscevano le canzoni parola per parola, quando appariva una star anche le nonne cercavano di indicarla al nipotino, i giovani sorridevano, alcuni adulti battevano addirittura le mani. La mia faccia era completamente disorientata. Mi son chiesta che cosa ci fosse di così magnetico e attraente in una ragazza con le codine che balla e dice al tipo dagli occhi di ghiaccio “oh my Darling I love u” (tanto per la cronaca: Kareena Kapoor e Hrithik Roshan in Mujhse Dosti Karoge) al punto che l’universo intero si paralizzasse davanti a qualcosa che classificavo come la succursale di Mtv.

Come ho già detto, ero una povera sciocca e non potevo sapere. Più tardi a Bombay, osservando i cartelloni pubblicitari più grandi e spettacolari che mente umana possa immaginare, cominciai ad intuire che c’era il trucco. Il tanto ingiustamente disprezzato e ignorato Bollywood non poteva essere quella robaccia stantìa e nauseante che le guide turistiche e la disinformazione volevano far credere. C’era un imbroglio, una cospirazione internazionale, un accordo tacito tra continenti per tenere fuori dalla portata del pubblico l’universo del C.I. (cinema indiano). Una volta capito questo era solo questione di tempo. Nel giro di pochi mesi ne sarei diventata amante, appassionata, dipendente, assolutamente schiava.

Bollywood è un labirinto degno di un girone infernale o del paradiso stesso. Ti mette addosso più quesiti di un manuale filosofico ma è anche capace di scioglierti dalle tensioni, stuzzicando i sensi, seducendo lo sguardo. Ti insegna a non prenderti troppo sul serio allo stesso modo in cui ti invita a guardarti dentro rovesciandoti sotto sopra come un paio di pantaloni da lavare.
Non è un controsenso? Come è possibile?
Riattiva delle emozioni nascoste rompendo ogni busta sigillata, dà libero sfogo agli istinti che giacevano ripiegati in due e assopiti nella civiltà di Calciopoli e del Grande Bordello.
Non è meraviglioso? Non è questo già un miracolo?

Il C.I. può entrare nella propria vita in tanti modi, basta esserne appena predisposti e inciamparci per caso. Ed è fatta. Alcuni istanti sono sufficienti per aprire un nuovo mondo, il suo sapore intenso farà sembrare minestrone tutto il resto. Adesso mangiatelo voi il minestrone, io ho trovato di meglio!!!

Naturalmente si vive anche senza conoscerlo e si va avanti benissimo. Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che ignorandolo si vive più a lungo e ci si incazza di meno, non nascono brufoli, non prende mai la gastrite, anche il conto corrente bancario ti regala un sorriso. Avvicinarsi alla trappola è come assaggiare per la prima volta la Nutella, troppo buona per essere sana, così tentatrice e soddisfacente che è sempre meglio non comprarla.

Perché poi non si può dire BASTA.

11 maggio 2010

BANDRA


Per alcuni Bandra è solo un luogo topografico. Un quartiere ricco di Mumbai. Lussuosi condomini torreggiano in riva al mare. Alberghi. Locali. Boutique. Le star del cinema abitano qui. Per noi bollywoodiani tosti Bandra è molto di più. Un luogo della mente. Un sogno luccicante nel quale Hrithik Roshan in calzoncini corti fa jogging su un lungomare sterminato, Kareena Kapoor va dal parrucchiere e Aamir Khan in libreria. Il luogo dove vorremmo vivere. A Bandra non ci sono zanzare e il clima non è mai afoso perché Così Abbiamo Deciso (obiezioni?). E noi siamo FA-VO-LO-SE. Sempre bollywoodianamente agghindate. Anche quando ci laviamo i denti. Chiome extralunghe che una brezza leggera scompiglia (ma non spettina). Labbra e artigli al neon. Chili di braccialetti tintinnanti. Zeppe vertiginose. Anjali attillatissima e scollatissima. Luce in microgonne laminate. Svolazziamo da un punto A ad un punto B - senza mai oltrepassare i confini di Bandra (chiaro) (perché dovremmo?) - in un turbinio di voile e sete sgargianti. Alle nostre spalle una scia glitterosa. Altro che star. Tre scintillanti stelle comete. Divi bollywoodiani svengono al nostro passaggio. Implorano uno sguardo. Ma noi niente. Incuranti. Inaccessibili. Tre stelle comete che puntano inesorabili verso Mannat, la raccapricciante magione di Shah Rukh Khan. In spalla picconi rosa shocking.
Fine del sogno. Un appartamento a Bandra costa troppo e il mio corpo non contiene organi a sufficienza da poter mettere all'asta su eBay. Dài, resto allo Stadera. Preferisco. Tanto Hrithik vive a Juhu.

07 maggio 2010

Introducing GILDA


Chi nasce nei dintorni di una città minuscola, circondata da aperta e silenziosa campagna, non può che impazzire alla vista dell’asfalto, del caos, del rumore. A sei anni ho deciso che il mio nome era Gilda, dovessi sceglierlo adesso sarebbe Simran, il mio cognome suona talmente male che quando a scuola facevano l’appello speravo sempre non fossi io. Di giorno pianto le fragole, di notte sogno le grandi metropoli, sorrido solo se c'è il sole e parlo solo a chi mi piace, dicono che bisogna prendermi con le pinze perchè sono tutta sbagliata, come dargli torto.
Che straordinario miracolo è la città… quando l’ho scoperto forse ero già maggiorenne, sarà per questo che mi commuovo dentro le stazioni affollate, adoro la calca, le voci che si sovrappongono, la malinconia di quei luoghi, la polvere, la puzza dei binari, anche la panchina sudicia e le bottiglie di birra abbandonate hanno il loro fascino.

Tutti da piccoli hanno grandi sogni e nei primi anni Novanta c’era un’epidemia in corso alla quale sono scampata: i bambini volevano diventare Baggio e le bambine la Cuccarini. Io seguivo con gli occhi le scie degli aerei decisa a vedere ogni angolo del mondo. La mia festa preferita era il Carnevale, i miei party in maschera andavano avanti fino ad agosto, quando diventava troppo caldo per l’abito da flamenco tiravo fuori quello da odalisca, me ne infischiavo dei compiti e non imparavo le poesie a memoria, il tempo libero lo passavo a sfogliare l’atlante geografico e a guardare centinaia di film in bianco e nero.

Ciò che mi teneva lontana dalle passioni era solo una perdita di tempo e io il mio tempo volevo sfruttarlo, anzi, ottimizzarlo, seguendo una pura mentalità da imprenditore. Voglio andare qui… crocetta… e poi qui... crocetta… passando da qui… altra crocetta… Riguardandolo oggi l’atlante sembra la pianta di un cimitero di guerra e ci sono ancora l’Urss, la Jugoslavia e la Cecoslovacchia unita. Mi accusavano di essere sognatrice, a conti fatti ero la più pratica e realista. Venissero a dirmelo adesso farei un rapido confronto tra quanti sono diventati Baggio e la Cuccarini. Non vedo più codini né scaldamuscoli in giro, gli aspiranti calciatori e soubrette di ieri sono le commesse e i rappresentanti di oggi, almeno io il mio obiettivo l’ho raggiunto.

Fortuna che non sono in politica, sarei diventata una dittatrice; fortuna che non mi intendo di religione, sarei diventata una santa. La mia attuale via di mezzo sta tra la santa e la dittatrice nonostante sia atea e vomiti addosso alle auto blu. La mia faccia è felicemente coperta dal Brufolo Del Bollywoodiano e il mondo diventa un caleidoscopio fantastico.

Cos’è il caleidoscopio? Un giochino stupido che andava di moda ai miei tempi. Non si attacca alla corrente né si può inserire nel Nintendo DS. Ma non è male, probabilmente fatto per i sognatori.

Cos’è il Brufolo Del Bollywoodiano? Questo dovrò spiegarlo con calma…

04 maggio 2010

introducing **LSD**

chiariamo subito un punto: a LuceSole Donati I BLOG FANNO SCHIFO. e i forum le chat facebook twitter eccetera. tutte minchiate per microcefali nullafacenti.
chiariamo subito un secondo punto: non so se e per quanto sosterò qui anche se sento il
**Dovere Morale**
di collaborare con anjali & cenko alla causa. posso lasciarle da sole ad affrontare 60 milioni di italiani gnucchi come bidoni dell'immondizia che non sanno un cazzo di cinema indiano?? no dico: DI CINEMA INDIANOOO!! cenko li vorrebbe illuminare con argomentazioni civili.
AH AH AH AH AH AH
LuceSole Donati propende per strategie diciamo alternative. tipo salire sul 3 - il tram che collega lo stadera al centro - e chiedere a bruciapelo al primo che capita: sei bollywoodiano? nooo? BAM! sventrato! un coglione inutile in meno.
e chiariamo subito anche un terzo punto: NON SONO D. e non scrivo come **Lui**. che nel mio culto pagano-biteista è DIO tanto quanto lo è Big B (non ditemi che non sapete chi è perché me ne vado all'istante!! **BIG B** CAZZOO!! VIVETE SU UN ALBERO? IN UNA LAVATRICE? SIETE APPENA ATTERRATI DA ALPHA CENTAURI E STATE CERCANDO PARCHEGGIO PER L'ASTRONAVE??). perciò vi dovrete accontentare. della mia sintassi diciamo personalizzata. del mio turpiloquio (scandalizzati? ma non guardate la tivù?). del mio senso antidemocratico della punteggiatura che abbatte le virgole a colpi d'ascia.
(non c'entra niente ma: avete letto cosa scrive cenko di me? non so. mi son quasi commossa) CENKO!
MUAAAH!! (for you)
ci si vede. ora ho da fare.

eLLeSSeDì

03 maggio 2010

STADERA-BANDRA



Mi chiamo Chiara Cenko. Ma sulla targhetta della porta c'è scritto Madhuri Dixit (poi capirete). Vivo allo Stadera, quartiere disagiato periferia-sud di Milano. In Google Earth, visto dall'alto, sembra un'area piacevole. Tetti di mattoni rossi. Sbuffi invitanti di verde. Ma dal basso - e dal vivo - solo casermoni popolari e strade sporche. Abito in via Palmieri. Palmieri bassa, ovviamente, il troncone che conduce al Naviglio. Al di là dell'incrocio con via Montegani si stende la Palmieri alta, che ci tiene parecchio a sottolineare la sua estraneità ed invoca da anni la secessione. Conosco poco lo Stadera. La solitudine spettrale di fabbricati che si susseguono tutti uguali, anonimi, silenziosi, è un po' inquietante. Meglio: irreale. Il microcosmo topografico che mi ritaglio coincide con la Montegani. Trafelata di colori, odori, rumori. Negozi. Tram.

Anjali l'ho conosciuta due volte. Davvero. La prima si chiamava ancora Anna: una ragazza timida, composta. Che sorrideva con gli occhi. Con il respiro. Un idillio purtroppo perduto di amabilità. E la seconda era Anjali (poi capirete). Che non è diversa: è nuova. Gratti gratti, ma sotto la superficie scorgi solo Anjali. Come se fosse stata sempre Anjali. Dalla nascita. Ride chiacchiera cammina tocca le cose si siede sbuffa mangia telefona. Tutto insieme. Un ciclone inarrestabile. All'improvviso hai solo voglia di seppellirti a letto e dormire per 48 ore di fila, o, in alternativa, di legarla con una corda al frigorifero, ma bella stretta, imbavagliarla, ficcarle il portaombrelli in testa e, finalmente, goderti un po' di meritata pace. Anjali ed io lavoriamo insieme. Lo Stadera se n'è accorto. Anche i quartieri limitrofi.

Ho incontrato Lucesole ad un corso di hindi, qualche anno fa. Un'accozzaglia di ferrami e di metallo incastonata in ogni lembo di cartilagine. Ne ignoro la mappatura completa. Considerando la magrezza di Luce, di sicuro espleta la funzione di ancorarla saldamente al suolo. Un tipo sveglio. Sboccato. Parla per maiuscole. Anzi: esclama per maiuscole, estendendo le vocali e decorando il suo eloquio - già colorito e robusto - con grassetti, abbreviazioni e asterischi. Malgrado l'aspetto criminoso, Luce vive nella Palmieri alta. Cambia un ragazzo a settimana e un lavoro al mese. Non sembra vera. Sembra uscita di corsa da un fumetto, da un romanzo, da una sit-com, con indosso il primo straccetto estratto dal mucchio che troneggia sulla poltrona nel suo soggiorno con cucina a vista. Lucesole possiede l'invidiabile e rara qualità di non deprimersi mai, e non solo: di non menarla mai a chi le sta vicino. Sempre allegra. Sempre viva. Le ho chiesto di scrivere in questo spazio, e credo si convincerà, malgrado i suoi 'maccheccazzo!! ma: TI SEMBRO IL TIPOOO?? gesùùù! un **BLOG**! cheschifo!! tutti coglioni che si credono D!!'. D sta per Dostoevskij, il suo scrittore preferito. Strano, lo so.

Anjali, Cenko, Luce. Un trio formidabile e inossidabile. IL trio. Il **KLAN**, per citare Luce (poi capirete). Tre donne (facciamo due) (meglio una) dall'aspetto comune - fuori - ma inguaribilmente bollywoodiane toste - dentro. Fate un salto allo Stadera e guardatevi intorno. Magari ci incontriamo. Magari vi sequestriamo per mostrarvi un film.

Il mio fidanzato viene per ultimo perché meno pertinente (poi capirete). Si chiama Massimo. eMMe per Luce. Siamo insieme da tanto di quel tempo che, giusto per darvi la misura dell'antichità, non c'erano ancora i cellulari. Ricordo i nostri primi appuntamenti in via Torino. Lui appoggiato con la spalla all'asta dell'orologio pubblico all'imbocco di via Valpetrosa. Braccia conserte. Osserva la gente. Io rallento il passo. Per amarlo con lo sguardo. Mentre una tenerezza dolce mi monta dentro. Andiamo ancora d'accordo, forse perché, come suggerisce Anjali, non ci siamo mai sposati, non abbiamo figli e non conviviamo (ad esser precisi abitiamo ai poli opposti della città). O forse perché, come suggerisco io, lui è paziente, gentile. Soprattutto umano, se capite cosa intendo. Porta gli occhiali e ostenta un accenno di pancetta. Dei capelli non parlo perché non apprezzerebbe. Ha un negozio di fiori, rilevato dal suo ex-datore di lavoro. Ma io di fiori non capisco nulla. Non distinguo un'orchidea da un cespo di lattuga. E hanno una vita così breve. Non sono una donna da fiori. Sono piuttosto da cioccolato. Non scatole di cioccolatini rivestite di seta color cipria, ma stecche nocciolate da mezzo chilo del supermercato (siamo seri).

La storia che vorrei raccontare inizia nell'ottobre 2006. Non aspettatevi però linearità cronologica. E perdonate le inesattezze, da bravi. Come? Cos'è Bandra? (poi capirete).