03 maggio 2010

STADERA-BANDRA



Mi chiamo Chiara Cenko. Ma sulla targhetta della porta c'è scritto Madhuri Dixit (poi capirete). Vivo allo Stadera, quartiere disagiato periferia-sud di Milano. In Google Earth, visto dall'alto, sembra un'area piacevole. Tetti di mattoni rossi. Sbuffi invitanti di verde. Ma dal basso - e dal vivo - solo casermoni popolari e strade sporche. Abito in via Palmieri. Palmieri bassa, ovviamente, il troncone che conduce al Naviglio. Al di là dell'incrocio con via Montegani si stende la Palmieri alta, che ci tiene parecchio a sottolineare la sua estraneità ed invoca da anni la secessione. Conosco poco lo Stadera. La solitudine spettrale di fabbricati che si susseguono tutti uguali, anonimi, silenziosi, è un po' inquietante. Meglio: irreale. Il microcosmo topografico che mi ritaglio coincide con la Montegani. Trafelata di colori, odori, rumori. Negozi. Tram.

Anjali l'ho conosciuta due volte. Davvero. La prima si chiamava ancora Anna: una ragazza timida, composta. Che sorrideva con gli occhi. Con il respiro. Un idillio purtroppo perduto di amabilità. E la seconda era Anjali (poi capirete). Che non è diversa: è nuova. Gratti gratti, ma sotto la superficie scorgi solo Anjali. Come se fosse stata sempre Anjali. Dalla nascita. Ride chiacchiera cammina tocca le cose si siede sbuffa mangia telefona. Tutto insieme. Un ciclone inarrestabile. All'improvviso hai solo voglia di seppellirti a letto e dormire per 48 ore di fila, o, in alternativa, di legarla con una corda al frigorifero, ma bella stretta, imbavagliarla, ficcarle il portaombrelli in testa e, finalmente, goderti un po' di meritata pace. Anjali ed io lavoriamo insieme. Lo Stadera se n'è accorto. Anche i quartieri limitrofi.

Ho incontrato Lucesole ad un corso di hindi, qualche anno fa. Un'accozzaglia di ferrami e di metallo incastonata in ogni lembo di cartilagine. Ne ignoro la mappatura completa. Considerando la magrezza di Luce, di sicuro espleta la funzione di ancorarla saldamente al suolo. Un tipo sveglio. Sboccato. Parla per maiuscole. Anzi: esclama per maiuscole, estendendo le vocali e decorando il suo eloquio - già colorito e robusto - con grassetti, abbreviazioni e asterischi. Malgrado l'aspetto criminoso, Luce vive nella Palmieri alta. Cambia un ragazzo a settimana e un lavoro al mese. Non sembra vera. Sembra uscita di corsa da un fumetto, da un romanzo, da una sit-com, con indosso il primo straccetto estratto dal mucchio che troneggia sulla poltrona nel suo soggiorno con cucina a vista. Lucesole possiede l'invidiabile e rara qualità di non deprimersi mai, e non solo: di non menarla mai a chi le sta vicino. Sempre allegra. Sempre viva. Le ho chiesto di scrivere in questo spazio, e credo si convincerà, malgrado i suoi 'maccheccazzo!! ma: TI SEMBRO IL TIPOOO?? gesùùù! un **BLOG**! cheschifo!! tutti coglioni che si credono D!!'. D sta per Dostoevskij, il suo scrittore preferito. Strano, lo so.

Anjali, Cenko, Luce. Un trio formidabile e inossidabile. IL trio. Il **KLAN**, per citare Luce (poi capirete). Tre donne (facciamo due) (meglio una) dall'aspetto comune - fuori - ma inguaribilmente bollywoodiane toste - dentro. Fate un salto allo Stadera e guardatevi intorno. Magari ci incontriamo. Magari vi sequestriamo per mostrarvi un film.

Il mio fidanzato viene per ultimo perché meno pertinente (poi capirete). Si chiama Massimo. eMMe per Luce. Siamo insieme da tanto di quel tempo che, giusto per darvi la misura dell'antichità, non c'erano ancora i cellulari. Ricordo i nostri primi appuntamenti in via Torino. Lui appoggiato con la spalla all'asta dell'orologio pubblico all'imbocco di via Valpetrosa. Braccia conserte. Osserva la gente. Io rallento il passo. Per amarlo con lo sguardo. Mentre una tenerezza dolce mi monta dentro. Andiamo ancora d'accordo, forse perché, come suggerisce Anjali, non ci siamo mai sposati, non abbiamo figli e non conviviamo (ad esser precisi abitiamo ai poli opposti della città). O forse perché, come suggerisco io, lui è paziente, gentile. Soprattutto umano, se capite cosa intendo. Porta gli occhiali e ostenta un accenno di pancetta. Dei capelli non parlo perché non apprezzerebbe. Ha un negozio di fiori, rilevato dal suo ex-datore di lavoro. Ma io di fiori non capisco nulla. Non distinguo un'orchidea da un cespo di lattuga. E hanno una vita così breve. Non sono una donna da fiori. Sono piuttosto da cioccolato. Non scatole di cioccolatini rivestite di seta color cipria, ma stecche nocciolate da mezzo chilo del supermercato (siamo seri).

La storia che vorrei raccontare inizia nell'ottobre 2006. Non aspettatevi però linearità cronologica. E perdonate le inesattezze, da bravi. Come? Cos'è Bandra? (poi capirete).

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